Mussolini ultimo atto: l’epica storica di Carlo Lizzani.

di Davide Di Finizio

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Gli ultimi giorni di Benito Mussolini, dal tentativo di mediazione da parte del cardinale Schuster, sino all’estrema fuga del dittatore travestito da soldato tedesco, insieme all’inseparabile amante Claretta Petacci. Una materia ardua, con cui sarebbe facile cadere nei rischi del didascalismo. Ma a parte una certa rigidità nell’esposizione che sembra imputabile allo scrupoloso sforzo di ricostruzione storica, Carlo Lizzani ha realizzato un film solido, duro e amarissimo, senza alcuna concessione al compiacimento nemmeno nella sequenza finale, servito dalla non invadente colonna sonora di Ennio Morricone e da un cast di comprimari scelto curiosamente tra volti che avevano mirabilmente frequentato lo spaghetti – western, il che suggerisce l’intenzione di conciliare la rigorosità della materia ai tratti, non sempre felici, di un racconto avventuroso.

Henry Fonda è un intenso e umanissimo cardinale Schuster, che tenta invano di dialogare col protagonista. Franco Nero interpreta il colonnello Valerio, deus ex machina “incaricato di rendere giustizia al popolo italiano” e la sua incursione è molto simile a quella dei suoi numerosi eroi del western. Mentre, nei panni di Benito Mussolini, è Rod Steiger, già Premio Oscar nel 1967 per il ruolo del rude sceriffo Bill Gillespie ne La calda notte dell’ispettore Tibbs, ma che appena tre anni prima aveva interpretato l’indimenticabile Juan Miranda in Giù la testa (1971) di Sergio Leone. L’attore appare sottotono rispetto ad altre magistrali interpretazioni da sembrare addirittura inadeguato. Lo sguardo magnetico di Steiger, tanto truce quando era appartenuto a Komarovskij ne Il dottor Živago (1965), sul volto del dittatore italiano sembra avere persino qualche tratto di dolcezza. In realtà, nella sua apparente inadeguatezza, Steiger incarna mirabilmente il dittatore per quello che era al di là delle fin troppo pompose ed ostentate esibizioni pubbliche: un fifone che, malgrado la boria, manifesta il terrore della sconfitta e della morte. Ma ciò non viene mai detto esplicitamente, viene bensì fuori dai discorsi pomposi e retorici con cui inneggia a Dante, alla patria e al popolo, e dalle non meno eloquenti azioni che contraddicono puntualmente le sue parole. Come un personaggio shakesperiano, il Mussolini di Lizzani è psicologicamente complesso, fuorviante e mistificante, proprio come la grossolana retorica con cui il corrispettivo storico aveva costruito il suo Stato totalitario. La presunta divinità umana, il pomposo condottiero, l’antico romano artefice del totalitarismo è ritratto nell’intimità pubblica degli ultimi giorni e dunque privo della sua maschera virile: è un vigliacco che nelle prime sequenze prova a fare la voce grossa con tutti ma inascoltato dai più, sino a perdere gradualmente anche gli ultimi residui di credibilità, proprio come un attore fallito che sta recitando, tra i fischi del pubblico, il suo ultimo atto. A credere in lui resterà solo Claretta Petacci (Lisa Gastoni), accecata sino alla fine da un amore pateticamente assoluto, al punto da scegliere di condividere la sua sorte. Come si accennava, nessun compiacimento nell’epilogo: la pietas della mitragliatrice partigiana, che fa cilecca al momento dell’esecuzione, non è una trovata del copione, ma un particolare fedele alla tradizione. Per il resto, anche l’esecuzione è ritratta con coerenza nella sua crudezza, come un ultimo atto di violenza.

Alla sua uscita, Mussolini ultimo atto fu a suo modo un film esplosivo: accolto con rabbia dai neofascisti, che pensarono bene di far scoppiare la prima delle bombe di Savona durante una sua proiezione in sala. Era il 1974. Erano gli anni di piombo. E la testimonianza dell’ex partigiano Lizzani non era solo una rievocazione storica, ma anche una energica e coraggiosa partecipazione alle battaglie di quei giorni. Dopo che anche quell’altra spirale di violenza poté dirsi esaurita, poi che nuove forme all’apparenza meno nocive ma più subdole di neofascismo, spesso frutto di manipolazione strumentale e di agghiacciante ignoranza storica, tentano di attentare alla democrazia e alla memoria della Liberazione, Mussolini ultimo atto resta un valido documento didattico, che non lancia giudizi didascalici ma consente di guardare la vicenda in uno sforzo prospettico, lasciando allo spettatore attento il privilegio di riconoscere la verità, non priva di un pizzico di umorismo. Come conclude il cardinale Schuster col suo segretario don Giuseppe Bicchierai: l’uomo che si credeva il nuovo Cesare, il duce dei popoli, un dio … come verrà ricordato? “Come l’uomo che ha fatto arrivare i treni in orario”.

Battuta che, forse non a caso, sarà riecheggiata da Massimo Troisi nel suo film più politico, Le vie del Signore sono finite (1987) nel quale, ad una fascista troppo entusiasta per la puntualità dei treni attribuita a Mussolini, Massimo risponde: Per far arrivare i treni in orario, se vogliamo, mica c’era bisogno di nominarlo capo del governo: bastava farlo capostazione. A riprova del fatto che non bisogna mai fidarsi di un uomo, e ancor più di un uomo di potere, che si prenda troppo sul serio.

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